La popolazione del cinghiale nel Parco del Conero è fortemente diminuita, come si evince dai dati dell’ ultimo censimento effettuato.
La stima del 2008 arrivava tra 160 e 195 esemplari, con un calo di oltre il 50% dal 2012. Questo dato significa che il cinghiale, all’interno del Parco, non è più da ritenersi un’emergenza. L’ ungulato, come tutta la fauna selvatica, è una realtà oggettiva di cui tener conto all’ interno di un’ area protetta, che la connota. Vivere in un Parco aumenta la qualità della vita e, da parte di chi governa il territorio, si ritiene essere un atto di responsabilità per il bene comune, sostenere l’ elemento culturale della sostenibilità. E’ un privilegio vivere in un Parco, dove è quindi fondamentale imparare a convivere con la fauna selvatica. Un Parco senza animali, non sarebbe tale. La fauna è anche un’ opportunità economica, perché attraverso la tutela della natura possono nascere situazioni positive come quelle che l’Ente Parco sta portando avanti con fatica e successo. Si parla della filiera agroalimentare, del Parco Archeologico, della CETS (Carta Europea del Turismo Sostenibile), della Rete Ecologica Marchigiana nella Macro Area del Conero e di tutte le eccezionali iniziative legate all’educazione ambientale, molto valide perché nascono dal rispetto della biodiversità e, la presenza della fauna selvatica, ne è la dimostrazione. I dati dimostrano anche che una soluzione alle problematiche si trova sempre, basta che ci sia la volontà. Ricordiamo a questo proposito il contenzioso che l’ Ente Parco ha avuto con la Provincia quando, ai tempi, non è riuscita ad evitare le introduzioni abusive di ungulati e ad attuarne l’eradicazione, pur avendone le possibilità. Per non parlare del periodo di sospensione degli abbattimenti, ma oggi, grazie all’intervento dell’Ente Regione Marche, che ha il giusto ruolo e gli strumenti attuativi per dare un apporto alle situazioni atte al benessere della collettività, Provincia e Parco hanno potuto lavorare fianco a fianco per una risposta al problema. Quindi, la realtà dei fatti è che l’Ente Parco ha fatto e sta facendo tutto ciò che è nei suoi poteri per ridurre al minimo possibile la popolazione del cinghiale. Ricordiamo sempre però, che la presenza di fauna selvatica vagante all’interno del Parco è legata alla natura stessa del Parco Naturale tra i cui scopi c’è anche quello di tutela e protezione della fauna in esso presente e, nessuna norma prevede la possibilità, e men che meno l’obbligo, di eradicazione totale della fauna selvatica, il cui areale sia ricompreso nel territorio di un parco naturale, sia essa di specie cinghiale, capriolo, lupo, tasso o istrice. Detto questo, l’ Ente Parco esorta gli Enti preposti a prendere i dovuti provvedimenti legislativi e politici per condurre la presenza della fauna selvatica verso una costruttiva crescita culturale, che le permetta di diventare patrimonio di tutti e non limitata al mondo venatorio a cui, si ricorda, viene attribuita la reintroduzione abusiva dell’ ungulato e che li gestisce tuttora in forma ludico-sportiva. Bisogna inoltre dotare le amministrazioni pubbliche, in primis Parchi e Provincie, di una adeguata normativa supportata da un’altrettanto adeguata copertura finanziaria, che gli permetta di trattare la fauna non come un’emergenza o come interesse venatorio, ma come interesse culturale di un’ economia ecosostenibile e sintomo di benessere sociale. Nella fauna selvatica vagante si annoverano, oltre al cinghiale, altri mammiferi come il cervo, il lupo, il capriolo, l’istrice che, per loro natura si spostano da territorio a territorio fuori e dentro i Parchi, le ATC, le ZRC ecc. Data la loro prolificità, è necessario realizzare al più presto monitoraggi scientifici per tenere sott’occhio l’andamento delle popolazioni e, nel caso fossero riscontrati indici di presenza della popolazione superiore a quella scientificamente e socialmente consentita, è importante attivare sistemi di contenimento tra cui gli abbattimenti selettivi da postazione fissa o il trappolaggio che, oltre ad essere estremamente efficaci, risultano particolarmente sicuri non solo per chi li pratica o per le attività antropiche limitrofe all’area di intervento. Così facendo l’attività venatoria si trasformerebbe in uno strumento scientifico, utile per l’eco sostenibilità.
Marco Zannini -Direttore Ente Parco del Conero
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