15 Marzo 2016

Pagine memoria 33 – Portonovo, pubblica o privata?

La storia di Portonovo è abbastanza recente, almeno dal punto di vista geologico. Un tempo le pareti rocciose si ergevano a picco sul mare; e il mare per secoli si accanì contro quella muraglia fino a scavarla alla base, facendo precipitare giù tonnellate di roccia. Una massa enorme di detriti in cui l’azione delle onde volle  inventare due anse, in cui apparvero i laghetti costieri. 

La splendida baia nacque così: plasmata dalla forza del mare, ma figlia del monte da cui ha preso il corpo. E per secoli essa appartenne a pochi uomini in cerca di solitudine, di silenzi, di natura intatta. E’ certo che l’uomo vi abitò già dal periodo classico come testimoniamo alcuni ritrovamenti di sarcofagi con iscrizioni funerarie in latino. Il primo documento in cui si parla di Portonovo è l’atto di donazione del fondo Cumano da parte di alcuni signori del castello del Poggio ai monaci benedettini perchè vi edificassero un tempio in onore della Madonna (7 luglio 1034): Per il periodo che va dagli inizi del XI secolo fino a quasi la metà del XIV  c’è tutto un accorrere di gente: schiavi, fuggitivi, disertori, naufraghi, rematori di galee liberati, religiosi, uomini di cultura. Anche quando i monaci abbandonarono la baia, quando le scorrerie dei pirati e dei corsari unite ai frequenti terremoti, guerre e pestilenze portarono in quella terra l’abbandono e la più completa decadenza, Portonovo continuò ad essere “approdo” per genti diverse, attratte dalla facilità di arrivarvi via mare, dalla possibilità di reperirvi legname da ardere e da costruzione, dall’abbondanza di pietra e di calce, dai molti e facili ricoveri, dalla presenza di un buon fieno per il foraggiamento degli animali e soprattutto dalla fama delle sue celebri sorgenti. Genovesi, veneziani, albanesi, dalmati, turchi arrivavano a Portonovo, e spesso nascevano battaglie. Basti dire che dal secolo XVI al XIX non c’è altra località della costa adriatica tanto minacciata da incursioni.; la Torre clementina e il fortino napoleonico si spiegano proprio con l’esigenza di difendere la rada dagli sbarchi dei nemici, ad evitare stragi e distruzioni. Questo passaggio di genti diverse poneva problemi che chiamerei “ecologici” ai castellani del Poggio prima e all’amministrazione ecclesiastica poi. Bisognava difendere i boschi, le pregiate e famose sorgenti, i laghetti salmastri ed i castellani prima e i vescovi poi lo fecero abbastanza bene. Pene severe, tra cui il supplizio della corda, venivano inflitte a chi tagliasse alberi o pescasse o cacciasse nei laghi, come anche a chi facesse pascolare abusivamente il bestiame in prossimità di essi e come a chi fosse sorpreso a trar pietra dalle macerie del monastero. Soltanto la domenica si consentiva il pascolo, la caccia, la pesca. Il taglio dei boschi veniva permesso ogni dieci anni (ceduazione ragionevole), consentendo il pascolo soltanto nell’anno successivo al taglio. Tutte queste forme di tutela, saggiamente gestite da signorotti, ecclesiastici e contadini ci mostrano come da sempre Portonovo abbia avuto bisogno di un’attenzione particolare da parte dell’uomo. E se per secoli questo rapporto si è mantenuto in equilibrio, con l’Unità d’Italia comincia invece il decadimento. Portonovo, come tutti gli altri beni ecclesiastici, fu posta all’asta e cominciò ad avere un padrone, una specie di signore locale che possedeva la baia, tutto il fianco retrostante del Conero ed alcune altre proprietà annesse. Tutto, anche le piante, i pesci dei laghi, i monumenti storici, le rupi, le sorgenti: tutto apparteneva al padrone di Portonovo. Da allora, sino ai giorni nostri, i padroni della baia diventarono sempre più numerosi e con essi aumentarono anche gli interessi in gioco. Ed ecco che sulla spinta di un turismo senza regole  e distruttivo il volto di Portonovo subisce gravi trasformazioni: :l’antico e funzionale sistema viario completamente alterato (ma frane antiche e recenti dovrebbero far riflettere), le storiche sorgenti disperse, gran parte dei laghetti interrati, alcune alture spianate, lacerata la vegetazione per favorire la caotica crescita di parcheggi, alberghi, ville, stabilimenti balneari, campeggi. Questa tendenza alla privatizzazione e alla speculazione viene in parte bloccata con il Piano Territoriale Paesistico (1969) e con il Piano Particolareggiato Esecutivo (1971). C’è stato un tempo, negli anni del boom economico, in cui la splendida baia di Portonovo è stata abbandonata all’abusivismo del “fai da te”. I frequentatori di quel periodo s’improvvisano conquistatori della terra di nessuno e ciascuno adatta a modo suo uno spazio che ritiene proprio: spianando una piazzola, coprendo un po’ del laghetto, eliminando un po’ di vegetazione per metterci una  presenza stabile. Così in pochi anni Portonovo è diventata una baraccopoli, molto simile a quelle periferie urbane caotiche e  desolanti dei nostri giorni. Una decisa quanto eclatante inversione di tendenza si ha nel 1976-77 con l’abbattimento delle numerose baracche sorte abusivamente lungo il litorale, che ha segnato  un momento di duro scontro ma anche di seria proposizione di un corretto modello di gestione tendente alla pubblica utilizzazione di Potonovo, magari completando l’azione di acquisizione. Questo gli amministratori di Ancona diventa allora una  scelta improrogabile.  Sarà lo studio ecologico ambientale Bettini del 1984 commissionato dal comune di Ancona ad indicare le vie da seguire per abbinare la difesa del patrimonio naturale alle esigenze di fruizione da parte del maggior numero possibile di cittadini. I limiti ci sono. Portonovo è come una portaerei – dice Bettini – possiamo farci atterrare piccoli aerei ma è assurdo credere di riuscirci con quelli di grosse dimensioni. La nascita del parco nel 1987, la crescente sensibilità ambientale e la prosecuzione dell’acquisizione pubblica delle aree segneranno obiettivi importanti per restituire alla baia un futuro di bellezza ed un utilizzo collettivo, qualificandone sempre più una fruizione attenta alla salvaguardia dei pregi paesaggistici. Che poi qualche abusivismo ci sia anche in anni recenti lo testimoniano vicende giudiziarie su “modifiche” improprie o interventi artigianali non proprio regolari. Forse non è un caso che un noto locale si chiami  Clandestino!  Che poi oggi sia tutto perfettamente regolare grazie a condoni ed altri colpi di spugna giuridici non toglie che in origine qualche disattenzione alle norme e ai controlli ci sia stato. E forse sui controlli si può fare qualcosa in più. Questo spiega  come talune ”presenze incongrue” di arredi domestici o materiali edili  – scoperte di scavi o dalle mareggiate -  siano potute arrivare nella baia verde, seppure in tempi ormai sempre più lontani da noi. Infine, nelle cronache recenti  scoppia il caso dei Mutilatini. Una struttura costruita negli anni Cinquanta proprio nel bel mezzo della baia come colonia estiva per persone colpite alla guerra e infine acquistata dal comune di Ancona. Si tratta dell’ultimo atto di un processo di pubblicizzazione che complice sicuramente la crisi economica di questi anni oggi lascia il posto a preoccupanti prospettive di ritorno al privato perché l’edificio dopo lunghi anni di abbandono viene inserito nel piano delle alienazioni 2015-2017. La costituzione di un comitato “Portonovo per tutti” riporta all’attenzione dell’opinione pubblica  la necessità di destinarla ad un uso sociale. Partono iniziative significative come la passeggiata del 20 luglio 2014, la raccolta di oltre 1.500 firme e soprattutto la realizzazione di un progetto alternativo alla vendita per una destinazione collettiva e didattica della struttura che raccoglie ampi consensi. E così la storia della baia continua a riproporre lo stesso dilemma:  pubblica o privata?

 

Gilberto Stacchiotti - Vice Presidente Ente Parco del Conero

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15 Marzo 2016

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