22 Novembre 2016

Pagine memoria 48 – Varano, capitale dei dialetti

Dici Varano e pensi al vernacolo!  Il linguaggio anconetano -  che da queste parti è molto di più di un dialetto anche se circoscritto al “cuore dorico” -  deve molto ai suoi cantori, poeti particolarmente appassionati che hanno custodito quel vivace senso di comunità attraverso la poesia, il teatro, i luoghi caratteristici, i personaggi. 

E capitale di questa storia è Varano che ai dialetti delle Marche dedica una riuscitissima manifestazione per turisti e anconetani che così possono conoscere questa solitaria frazione, famosa per un forno a legna di Serafino dove si sforna un pane apprezzato e dolci altrettanto richiesti. Qui la cucina si abbina al festival e quindi prima di dilettarsi con le commedie allegre ci si mette in fila per gustare la gastronomia locale. Così per chi cena con le tante proposte di bontà delle cuoche di Varano c’è un biglietto con posto numerato al teatrino, gratuito come  il servizio di navetta dal parcheggio dello stadio. E chi prima arriva a tavola….poi si gode la visuale migliore allo spettacolo! Il tutto si svolge all’aperto che è certamente uno scenario magico con le serate stellate ma proibitivo con il maltempo che, in effetti, talvolta obbliga gli organizzatori a rinviare l’evento.  Il festival è nato nel 1970 con don Celso Battaglini, allora parroco di Varano che, in alternativa alle solite feste, ideò un'estate diversa, improntata sul dialetto. In quell'occasione si recitò la commedia L'Imbriago di Palermo Giangiacomi. Nel tempo la manifestazione – che ha già superato le 40 edizioni - si è arricchita di altre proposte culturali come la mostra di pittura ed il premio letterario di poesia e narrativa nei dialetti delle Marche; la stampa di libri sul tema alimenta poi un archivio di immagini storiche, poesie e testi particolarmente originali.  Al centro del paese una bella lapide ricorda Rinaldo Mancinelli detto “Rinà de Varà”, straordinaria sintesi della vivacità culturale e della solidarietà di questa gente che oltre alle manifestazioni varanesi può vantare una Società di Mutuo Soccorso che ha portato assistenza a malati e sofferenti di ogni tipo; questo illustre personaggio ha contribuito anche a conservare la tradizione folcloristica attraverso il gruppo musicale della Pasquella che continua a cantare la nascita di Cristo per le strade attraverso espressioni di singolare originalità. Se l’antico castello è tempio dei dialetti, Passo Varano è sede dello stadio del Conero e del Pala Rossini due strutture per grandi eventi sportivi, musicali e culturali. Allo stadio è venuto persino Giovanni Paolo 2° per festeggiare con la diocesi i mille anni del duomo di S. Ciriaco: era domenica 30 maggio 1999. Il grande parcheggio a servizio delle strutture ospita eventi circensi e giochi, oltre a rappresentare una pista di scuola guida abbastanza frequentata per i dilettanti del volante. La costruzione del nuovo stadio da 26.000 posti, inaugurato il 6 dicembre 1992 con una netta vittoria dell’Ancona contro l’Inter, è stata dettata dall’euforia di subitanei successi della locale squadra di calcio che - dopo una stagione in serie A - ha visto drasticamente ridimensionato il proprio prestigio; così oggi il nuovo impianto resta un simbolo di quei tempi gloriosi così lontani e contrastanti dalla realtà attuale di difficile gestione e manutenzione. Diversa la situazione del Pala Rossini, inaugurato il 6 gennaio 1994 con la partita Tombolini Basket contro Avellino, dove l’organizzazione di grandi eventi comunque assicura scenari confortanti. La nascita delle due strutture all’interno del parco del Conero ha creato - per ovvi motivi di cubatura, realizzazione e collocazione - problemi di compatibilità che hanno ben presto portato a ridefinire con il comune di Ancona i confini dell’area protetta escludendo dal suo perimetro proprio gli  impianti sportivi; tale  perdita territoriale è stata compensata con inclusione di parte di valle Miano. Per la verità c’è stato anche un terzo progetto che avrebbe completato la caratterizzazione sportiva della zona: un centro ippico regionale. Doveva essere una vasta struttura per far conoscere gli sport equestri, organizzare gare importanti e sviluppare tecniche di terapia e riabilitazione legate al mondo dei cavalli. Si trattava insomma di una vera cittadella che però avrebbe modificato il paesaggio e stravolto una bella fetta di terreno agricolo ma sembrava irrinunciabile, urgente e necessaria. C’erano i fondi da parte del CONI, una forte volontà politica, un progetto ambizioso e quindi bisognava fare in fretta per un obiettivo a portata di mano. Si anticiparono alcune scelte del piano del Conero in itinere per favorirne una veloce realizzazione, persino la Regione Marche nel 2010 assentì ma poi tutto restò sulla carta. La strategia di voler costruire “dentro” il parco, quasi fosse un contenitore da valorizzare con “altro” rispetto ai valori ambientali già presenti, subì una pesante sconfitta a causa del repentino mutamento degli scenari. Se oggi andate a curiosare nel piano vigente del parco  troverete ancora nel testo una precisa indicazione di finalità e normativa del centro equestre regionale mentre nella cartografia dello stesso strumento spicca una vasta macchia rosa a prospettare una zona di promozione e sviluppo in cui sono consentite nuove costruzioni ed una diffusa cementificazione. Quei riferimenti sono tutto ciò che resta del progetto perchè se vi recate sul posto, in quella che doveva essere altra “destinazione” continuerete a trovare un paesaggio verde di coltivi,  prati, siepi e filari di rilassante armonia. E vista la vicenda dello stadio, forse è meglio così!

 

Gilberto Stacchiotti