“Il punto di fondo è che le marinerie sono troppo impattanti rispetto alle risorse e agli stock ittici disponibili.” Basterebbe questa considerazione espressa da Simone Cecchettini di LegaCoop Marche per apprezzare la concretezza dei temi affrontati al recente incontro di Portonovo organizzato da SlowFood nella settimana di mosciolando, tra esperti dei diversi settori sul tema “Mare Adriatico: c’è ancora pesce?” Un quadro che nonostante i ricorrenti inviti alla tranquillità appare sempre più preoccupante con l’evidenza inappellabile dei numeri.
Lungo i 174 km di costa marchigiana le vongolare sono in evidente sovrannumero con 220 licenze concesse e dai due porti pescherecci di Ancona e S. benedetto si è passati rapidamente ad una portualità diffusa e generalizzata dove si improvvisano anche attività di pesca. Recentemente è stata ottenuta dalla Comunità Europea una deroga ai regolamenti comunitari per abbassare la taglia consentita per le vongole fino a 22 mm pescando così fino al limite di impedirne la riproduzione stessa: una vittoria di Pirro, che solo miopi osservatori possono continuare a vedere positiva. Così impoveriamo il mare Adriatico e siamo costretti ad importare il 60% del pesce destinato al consumo, mentre si fatica a riorganizzare il settore per impatti occupazionali sia a mare che a terra. Ci sarebbe poi da considerare le difficoltà a trovare accordi internazionali che favoriscano una gestione condivisa con le marinerie della Croazia e degli altri Stati della sponda adriatica orientale, l’effettiva efficacia del fermo pesca ai fini del ripopolamento biologico, la questione delle plastiche e delle bombe al fosforo, il transito di navi con carichi pericolosi e sversamenti a mare, le trivellazioni e le minacce di rigassificatori. Verrebbe da chiedersi come riesca a sopravvivere qualcosa vivente in questo nostro Adriatico. Ancora più impietosa l’analisi condotta dal prof. Roberto Danovaro dell’Università Politecnica delle Marche ed esperto mondiale di biologia marina. In assenza di una strategia nazionale di settore e di fronte alla colpevole debolezza della Regione, si vivacchia a vista tollerando persino truffe alimentari che propongono pangasio al posto di orate, devastanti dosaggi di antibiotici, esplosioni di parassiti. La qualità dell’ambiente marino nelle Marche – dichiara l’illustre ricercatore con la certezza di chi conosce la realtà - è sicuramente peggiorata per la riduzione dei controlli, la pratica delle deroghe ed i comportamenti sempre troppo tolleranti. Invece che affrontare tali questioni complesse si preferisce la strada effimera di non controllare perché così non ci sono problemi o quanto meno non appaiono, non diventano oggetto di corretta informazione. Non soltanto le Marche non investono su questo settore (la stessa ARPAM ha smantellato la struttura di controlli a mare) ma si riscontra un palese disinteresse della regione Marche nelle politiche del mare e i risultati non possono che essere quelli sotto i nostri occhi. Giusto per essere chiari e conseguenti: cosa accadrebbe in una città se venisse meno l’opera dei vigili urbani? La stessa selvaggia anarchia piratesca e suicida che si sta verificando in mare, un mondo fuori controllo in balia di sfruttatori senza regole. Se non si protegge e non ci sono controlli viene meno il rispetto delle regole e prevalgono le politiche di rapina e distruzione. La natura invece è occasione d’imprenditorialità e quindi se proteggi contribuisci a dar valore aggiunto, accresci il valore di quel patrimonio. Per questo le strategie europee si orientano già verso nuovi orizzonti, a partire dal restauro degli habitat. Il pesce non vive fuori dall’acqua. Servono nuove figure professionali, nuovi modi di essere impresa per recuperare ambienti degradati o scomparsi; da questo punto di vista investire in natura è sempre più chiaramente investire nel futuro anche in termini economici ed occupazionali. E’ occasione straordinaria per scoprire e dare concretezza alla crescita blu attraverso progetti che davvero sono belli, utili e soprattutto favoriscono turismo e sviluppo ecosostenibile. Attenzione però che non è una scelta filosofica ma un’esigenza nell’emergenza. Infatti l’unico modo per affrontare la grave situazione del mare e dell’Adriatico in modo particolare, che da un ambiente di pesci si sta trasformando in un condensato di meduse, è proteggere e restaurare gli habitat, aumentando la presenza di aree costiere e marine protette. L’unico modo è questo, ribadisce Danovaro! Il riscaldamento globale, che anche in questo avvio d’estate si manifesta in modo davvero evidente, ha ripercussione drammatiche in un bacino basso e quasi chiuso come l’Adriatico. Basti considerare che nel Mediterraneo, essendo la profondità media circa 1/3 di quella oceanica, la temperatura delle acque cresce molto più rapidamente, si rafforza l’evaporazione, si sviluppano le alghe tossiche (difficile pensare che esploderanno sempre a stagione turistica conclusa, come con l’Ostreopsis ovata), peggiora l’ossigenazione con fenomeni diffusi di anossia, arrivano specie aliene abituate a mari più caldi , si estinguono le specie locali non abituate alle nuove condizioni ambientali, si avviano fenomeni di acidificazione le cui conseguenze soprattutto sulla componente biotica saranno devastanti. C’è ancora pesce nel mare Adriatico? Le riflessioni fornite per il 2050 dal prof. Danovaro nella sua appassionata e lucida relazione sono molto chiare, eloquenti come l’assenza degli amministratori e di tanti soggetti legati alla vita del mare all’appuntamento di Portonovo. Evidenti come l’incapacità di affrontare questi temi da parte della politica, priva di ogni visione strategica per un futuro davvero sostenibile. Persino l’area marina protetta del Conero è diventata un’opportunità da accantonare, affondare, mistificare, demonizzare fingendo e illudendosi che il mare non abbia bisogno di null’altro. Agli appelli del prof. Danovaro – cui SlowFood ha consegnato il mosciolino d’oro 2017 - si continua colpevolmente a preferire la favola rassicurante dei tanti ciarlatani che prospettano una situazione sotto controllo: l’invasione di meduse, le taglie di pescato sempre più piccole, le mucillaggini sono solo aspetti marginali. Non è successo nulla. L’hanno già detto pure dopo l’incidente di Chernobyl. Vi ricordate? Quando ci siamo svegliati però il latte e la verdura non si potevano mangiare più. Erano contaminati davvero, irrimediabilmente!
Gilberto Stacchiotti
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