10 Luglio 2017

Pagine memoria 56 – Il miracolo della Nicole

Sono bastati pochi anni alla vitalità del mare per trasformare la carcassa di una nave da trasporto giacente sul fondo in una ricca oasi di forme e colori che nuotano, si rifugiano, cacciano tra quelle lamiere arrugginite. E’ un piccolo miracolo della biodiversità.

La cronaca riporta che il 26 gennaio 2003 davanti alle coste incontaminate del promontorio del Conero è affondata la nave da trasporto «Nicole», che trasportava 3.100 tonnellate di feldspato (ben oltre le 2.400 di stazza) – un minerale  per la lavorazione del vetro - e gasolio, che ha nell’immediato creato una chiazza oleosa. I 14 uomini dell'equipaggio ucraino sono stati tutti tratti in salvo ma le conseguenze sull'ambiente per qualche tempo hanno destato preoccupazioni tra operatori turistici, ambientalisti ed amministratori. La nave, costruita nel 1966 e battente bandiera del Belize, era lunga 118 metri ed è affondata a causa delle avverse condizioni meteo e marine dopo aver imbarcato acqua, adagiandosi in assetto normale grazie al fondo piatto della chiglia, spezzandosi poi in due tronconi; da allora il relitto giace a circa 2 miglia al largo di Numana ad una profondità di circa 12 metri. Le conseguenze per l’ambiente risentirono del ritardo con cui l’equipaggio lanciò l’SOS. e tuttavia non si verificò il temuto disastro ambientale grazie all’efficace intervento sulla fuoriuscita di gasolio e alla messa in sicurezza delle ulteriori fonti inquinanti; determinante tuttavia anche la circostanza fortuita che il carico della vecchia carretta del mare fosse costituito da materiale inerte senza alcuna conseguenza per la qualità delle acque. Insomma bravura e fortuna diedero una mano al Conero, rendendo tuttavia evidente i limiti di una sicurezza condizionata dagli intensi traffici in Adriatico da parte di navi ormai vetuste che traportano petrolio, sostanze chimiche e altri materiali altamente inquinanti. Scartata l’ipotesi di un recupero della Nicole, negli anni questo relitto ha visto quindi il proliferare spontaneo della vita marina e senza dubbio è diventato un’oasi di ripopolamento ed un’importante attrattiva per il turismo subacqueo. Una straordinaria varietà di pesci e crostacei è la sorpresa più bella per chi s’immerge da queste parti in ambienti ora colonizzati da spugne e cozze, mentre con un po’ di attenzione è facile l’incontro con gli eleganti nudibranchi. Una condizione certificata attraverso riprese video, documentari o servizi televisivi su LineaBlu che suscitano positivo stupore anche in chi si avvicina a questo relitto soltanto attraverso quelle stupende immagini che documentano la vita attorno al relitto nelle sue forme e colori. Ora che questa storia mostra così lusinghieri risultati però c’è chi pensa a riproporla in scala maggiore; stavolta favorendo in modo intenzionale la presenza su quegli stessi fondali di altre navi, vagoni ferroviari e via elencando. Il nome accattivante di “parco dei relitti” è così diventato un progetto che la stessa regione Marche ha condiviso in via preliminare nonostante le preoccupazioni di chi coglie in tutto questo un approccio di grave semplificazione. In sostanza, prospettando i benefici della Nicole come panacea delle diverse problematiche di gestione del mare, si cerca di far passare questa soluzione come alternativa alla prevista area marina protetta di cui per converso si lasciano intendere riscontri negativi e norme vincolistiche. In sostanza si tenta di “confondere le acque” mettendo sullo stesso piano prospettive gestionali assai diverse, un po’ come si fece a suo tempo per la tutela della parte terrestre del Conero con il pretesto di spacciare la sola normativa paesistica della legge Galasso come modello di sviluppo pur di evitare l’istituzione del parco. Anche allora, peraltro, si fecero infinite disquisizioni sul termine da scegliere evitando accuratamente proprio quello che invece dal punto di vista della normativa significava protezione e gestione del territorio protetto. A ben guardare quindi l’obiettivo vero di questo “parco dei relitti” è l’affondamento dell’area marina protetta che è certamente ben altra cosa rispetto all’utilizzo dell’ambiente marino come deposito di vecchie carcasse. Torna a galla così una strategia figlia di quel approccio molto pericoloso per cui l’ambiente non viene apprezzato in quanto tale e quindi lasciato ai suoi equilibri ma è visto come un vuoto da riempire, perché in fondo l’uomo è padrone della natura. Il nostro mare però merita di più.

 

 

Gilberto Stacchiotti