10 Luglio 2016

Pagine memoria 41 - Un Poggio in declino

Tre piccoli nuclei che insieme si chiamano Poggio, frazione di Ancona. La parte più antica è in alto e conserva ancora i caratteri del castello, dentro cui è racchiuso il piccolo borgo dei “tredici camini” che si staglia come una barca allungata sulla sommità della collina fino a perdersi oltre il piccolo cimitero tra panorami infiniti verso l’Appennino. 

Basta una breve discesa ed ecco S. Antonio, sorto nell’Ottocento per accogliere i lavoratori nelle vicine cave e fornaci che si presenta adagiato con alle spalle il bosco oggi chiamato a nuova vita come punto di partenza ideale per la traversata più frequentata dagli escursionisti. Ancora più in basso ecco Casine, manciata di edifici affacciata lungo  la  vecchia strada del Conero nell’alta valle del Boranico, comodo riparo per i primi abitanti di origine dalmata che qui si insediarono mantenendo una identità tuttora legata alla piccola pesca. E’ la a base discreta che guarda verso Ancona e la costa a settentrione del parco. Le origini del Poggio si confondono con le nebbie che avvolgono presenze umane intuite o collegate a ritrovamenti sporadici come i forni neolitici di Fontanaccia, oppure collegate a rari documenti che squarciano questo passato così difficile da esplorare. Probabile che i primi insediamenti siano collegati alle gradine, curiose colline dalla cima spianata, che dal Conero si sviluppano verso l’interno delle nostre campagne. Tutto si chiarisce con l’epoca medioevale, i collegamenti con la potente città di Ancona, l’effimera pausa di comune indipendente poi conclusa nella seconda metà del XVII secolo. Una bella pagina di questa storia la scrivono quattro signori del castello del Poggio che il 7 luglio 1034 concedono ai Benedettini la proprietà di terre adatte per dar vita al monastero di S. Maria in Novo Porto, di cui oggi resta la superba chiesa romanica. Lontana dai fatti eclatanti, la storia minore di questa parte del Conero narra piuttosto di frequenti contrasti dei poggesi con chi sbarcava a Portonovo e razziava uomini e cose fin sul castello del Poggio, diverbi con gli abitanti di Camerano per questioni legate al sale marino o liti con la stessa comunità monastica di S. Maria per mantenere alcuni diritti su acque e boschi della baia. Segnali preziosi di una comunità che alternando momenti di splendore ad altri di saccheggi o emigrazione è riuscita a mantenere nel tempo una propria identità culturale. Sempre più faticosamente, purtroppo! Così in tempi recenti la frazione ha subito la perdita di riferimenti aggregativi indispensabili per una socialità attiva: la farmacia, l’ufficio postale, il supermercato e soprattutto la scuola. Per la verità nell’austero edificio, ormai conclusa l’attività didattica e vuoto di scolaresche, si è tentato di recuperare una valenza sociale utilizzando per molti anni la struttura come campo base di appassionati della natura impegnati in programmi estivi di sorveglianza antincendio: merito del WWF e del comune di Ancona che ne hanno reso possibile un utilizzo allora d’avanguardia nella protezione di questi boschi. Un presidio in difesa dell’ambiente che ha anticipato la nascita stessa del parco! Si comincia a guardare in alto e a scoprire la forte presenza di uccelli che proprio qui sopra iniziano la loro traversata a mare sfruttando le correnti ascensionali per ridurre la fatica e scomparire all’orizzonte. Una meraviglia che l’amico Marco Borioni ha colto molto bene nella sua appassionata ricerca spendendosi con straordinaria generosità e competenza per  osservare e misurare la ricchezza e la diversità di un fenomeno straordinariamente importante: così il Conero è diventato tra le TOP TEN, i dieci luoghi migliori per il birdwatching in Italia. Fino a pochi decenni fa la strada provinciale serpeggiava tra gli abitati ma poi la Provincia di Ancona ha voluto realizzare una variante, comoda ma molto contestata per l’impatto devastante sul paesaggio, e così i turisti hanno cominciato a passare oltre il Poggio quasi senza avvedersene: per questo ha chiuso il distributore di benzina e la vecchia locanda ha perso il suo ruolo di riferimento anche per vendita di giornali e tabacchi. Resta la presenza istituzionale dei Carabinieri con la loro caserma lassù nella parte alta, impegnati soprattutto d’estate con il forte afflusso turistico nella baia di Portonovo e l’intenso traffico lungo la provinciale spesso scambiata per circuito da centauri in cerca di brividi. E soprattutto la chiesa parrocchiale che mantiene viva la comunità religiosa locale, custodisce un pregevole organo storico ben restaurato e conserva la preziosa immagine della Madonna che alla festa dell’Assunta viene portata in processione nella baia di Portonovo. E’ dedicata a S. Biagio, vescovo di Ragusa, a simboleggiare con felice sintesi la lunga storia in comune nell’unica fede tra i nativi del Poggio ed i profughi qui giunti dall’altra sponda dell’Adriatico. A poca distanza racchiusa anch’essa nel vecchio castello sorge la chiesetta di S. Lucia, elegante nella sua semplicità fatta di pietra del Conero, ora tempio della memoria che custodisce all’interno raccolte diverse di vita locale, compresa la recente ricostruzione di un forno neolitico sul modello di quelli rinvenuti laggiù alla Fontanaccia. Le cronache moderne narrano di altre storie, altre battaglie stavolta per fortuna incruente e combattute sul campo della politica perché da queste parti nel 2014 hanno cominciato a soffiare improvvisi venti di secessione, sostenuti da un disagio profondo per l’isolamento e la carenza di servizi. Un Poggio in declino dove si vorrebbe ancora scommettere sul cemento secondo il teorema  “prima le case e il resto verrà”, ormai fallito dovunque e certo stridente in un parco; per questo si continua a chiedere nuove costruzioni, dimenticando l’utilizzo precario del patrimonio esistente cui negli anni peraltro qualche incremento c’è già stato. E allora minacce di passare al comune di Sirolo, cancellare il sofferto legame con il capoluogo delle Marche per puntare ad una nuova socialità come se bastasse un cambio di campanile a ritornare alla vita di un tempo. Forse per custodire l’identità perduta ci vorrebbe un approccio diverso, un nuovo sviluppo certamente magari costruito sulle persone e non sui metri cubi.

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Gilberto Stacchiotti

Archivio Giornale

Sommario

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