25 Marzo 2017

Pagine di memoria 53 – La pietra mangiata

Impossibile non accorgersi della loro presenza. Quel bel manto verde che avvolge il monte Conero e si allunga sulle pareti a strapiombo sul mare presenta diffuse e vaste lacerazioni dovute all’azione dell’uomo: sono le cave. 

Qui la pietra ha una storia e in passato un ruolo importante nell’economia dei luoghi finché nel 1974 – molto prima della nascita del parco – il pretore Mario Perucci ne decise la chiusura. Da allora la natura sta cercando di porre rimedio per coprire quelle ferite con pini e ginestre che nella loro frugalità sembrano sfidare le stesse leggi della vita, specie davvero “pioniere” su pareti strapiombanti e ostili. Ad osservare certi esemplari si resta impressionati di quanta tenacia esprimono nel riconquistare gli spazi perduti, un vero inno ala vita! Un restauro naturale che tuttavia, in assenza di progetti di rinaturalizzazione, richiede tempi lunghi. Intanto la presenza di una ventina di cave resta abbastanza dissonante nel parco anche se la bellezza rubata qui è stata in parte restituita nei monumenti cittadini, nelle chiese medioevali, negli edifici illustri dove quel materiale è diventato “costruito” e spesso anche arte. E si ritrova discreta anche nelle tante case coloniche in pietra, caratteristiche delle nostre campagne. Così sarà opportuno dare il giusto omaggio ai cavatori, magari partendo proprio dal monumento che il sindaco Pino Misiti ha voluto porre nella piccola borgata sirolese di Fonte d’Olio, a ricordo di quanti hanno vissuto in questo settore. Un blocco di pietra grezzo e pesante dedicato alla gente del sasso che nella sua semplice estetica sintetizza la vita dura di chi estraeva o trasportava il calcare; una comune fatica che diventa presto solidarietà per aiutare quanti negli infortuni o per malattia non riusciranno ad arrivare in fondo alla loro storia. Nasce così la società di mutuo soccorso di S. Lorenzo ancora presente poco lontano da una delle ultime fornaci, muta testimonianza ben riconoscibile di un passato ormai concluso. Sulla facciata della sede, una lapide posta dal parco ricorda le vittime della cava di Massignano, un fatto doloroso che il parco ha voluto ricordare. “La Giunta esecutiva del Parco, nella seduta del 2 settembre 1997 ha deciso all’unanimità di collocare un pannello commemorativo per ricordare una tragedia accaduta nel 1954 nella cava di Massignano, oggi attrezzata scientificamente per far “leggere” ai cittadini l’evoluzione della terra e che conosciuto dagli studiosi come lo “strato tipo di Massignano”. Il 20 ottobre 1954, nelle prime ore del mattino, una frana investì tre cavatori: Emilio Baleani di 34 anni, Egidio Latini di 31 anni e Eugenio Polenta di 47 anni. Un fatto doloroso che è rimasto vivo nell’immaginario collettivo dei sirolesi, uno dei tanti incidenti che ha funestato il lavoro nelle cave del monte Conero. Una decisione, quella dell’Esecutivo del parco, apprezzata dai familiari deceduti ed, al tempo stesso, utile per tramandare alle nuove generazioni la memoria di quanti sono caduti sul lavoro, in questa splendida area che oggi viene prescelta per ritemprare il corpo e l’anima. “  Vita di fatica e disagi, le cui tracce oggi sono un patrimonio culturale prezioso per chi visita il parco. A cominciare dal sentiero più bello che scende alle Due Sorelle che proprio i cavatori “disegnarono” sulla falesia per raggiungere la cava dei gabbiani: un percorso che poi fu la via di salvezza per i naufraghi del Potho affondato proprio su quegli scogli. Anche oggi per chi si affaccia alla spiaggia solitaria oltre le Due Sorelle, si scoprono i resti di una baracca ormai fatiscente accanto a tronconi di binari, qualche vagoncino arrugginito e tracce del pontile d’imbarco del materiale. Probabilmente proprio l’uso di esplosivo di questa cava ha nascosto l’ingresso della grotta degli Schiavi. Su questo monte l’estrazione del materiale lapideo avveniva già in tempi lontani come sembra attestare il toponimo di “grotte romane” attribuito ad un singolare sito che tuttora mostra all’interno alcune scritte realizzate con il minio risalenti all’epoca imperiale romana; per gli studiosi indicano il destinatario dei blocchi di pietra. Pareti e volte della parte scavata mostrano tutta la paziente lavorazione a scalpello (cfr. lo studio “La cava romana sul Conero: una testimonianza dell’attività estrattiva” di Simone Sasso edito dal parco del Conero nel 2005). Qui vive la più ricca colonia di pipistrelli del parco.  Da quegli squarci che indubbiamente hanno un impatto negativo sul paesaggio, è possibile però ricavare preziose immagini in diretta dal passato, situazioni stratigrafiche che altrimenti sarebbero rimaste nascoste tra le pieghe rocciose mentre oggi esprimono tutte le loro potenzialità scientifiche, didattiche e turistiche. La cava di Massignano è un riconosciuto GSSP, stratotipo mondiale per il passaggio tra Eocene ed Oligocene. Risalendo il fosso di S. Lorenzo si raggiunge poi una cava nascosta dove un pannello didattico aiuta alla lettura sul fronte di scavo del limite Cretacico/Terziario (65 milioni di anni fa), sottile straterello ricco di iridio che segna il passaggio avvenuto a seguito di un devastante impatto meteoritico. E le platee rocciose sono diventati ambientazioni teatrali importanti e non a caso Sirolo propone annualmente un’originale rassegna di spettacoli all’aria aperta proprio al teatro delle Cave. Analoghe performance hanno cominciato ad essere apprezzate anche grazie all’iniziativa di associazioni locali che da Metà monte portano i turisti verso la vicina cava, allestendo temporanei sedute in balle di fieno da cui gustare rappresentazioni di storia locale talvolta intrecciata di leggende. Complice la suggestione della notte, il fascino della natura e l’originalità dei contenuti ecco che nelle sere d’estate le cave del Conero tornano a rivivere. Stavolta in chiave compatibile con la presenza di un parco naturale! Per i caduti della cava di Massignano, la Giunta esecutiva del parco, nella seduta del 2 settembre 1997 ha deciso all’unanimità di collocare un pannello commemorativo per ricordare una tragedia accaduta nel 1954 nella cava di Massignano, oggi attrezzata scientificamente per far “leggere” ai cittadini l’evoluzione della terra e che  conociuto dagli studiosi come lo “strato tipo di Massignano”. Il 20 ottobre 1954, nelle prime ore del mattino, una frana investì tre cavatori: Emilio Baleani di 34 anni, Egidio Latini di 31 anni e Eugenio Polenta di 47 anni. Un fatto doloroso che è rimasto vivo nell’immaginario collettivo dei siroelsi, uno dei tanti incidenti che ha funestato il lavoro nelle cave del monte Conero. Una decisione, quella dell’Esecutivo del parco, apprezzata dai familiari dei caduti ed, al tempo stesso, utile per tramandare alle nuove generazioni la memoria di quanti sono caduti sul lavoro, in questa splendida area che oggi viene prescelta per ritemprare il corpo e l’anima.

 

 

 

Gilberto Stacchiotti