30 Dicembre 2015

Serve una cultura adeguata per la gestione delle Aree Protette

Leggo e ascolto Lanfranco Giacchetti, attuale presidente del parco del Conero e di Federparchi Marche (due ruoli che a suo tempo ho ricoperto anch'io), che agita lo spauracchio della chiusura del “suo” parco per fallimento, avendo la Regione Marche tagliato ancora una volta gli “incomprimibili” finanziamenti, e mi torna alla memoria la vicenda della prima area protetta istituita nelle Marche, con legge regionale del 23 aprile 1987.

Il parco del Conero, appunto. Il quale peraltro non nacque nel 1987. Il decreto del presidente della Regione che lo istituì arrivò nel marzo 1991, dopo anni tre di manifestazioni e di pronunciamenti contrapposti e tra profonde lacerazioni nelle istituzioni che alla fine diedero vita al consorzio. Quel ritardo la dice lunga sulla forbice all'epoca molto ampia tra amici e nemici di quella istituzione. Una forbice che non si è mai richiusa pienamente, anche se non possiamo dire che si sia allargata. Il parco nacque tra maldicenze, maledizioni, macumbe e sospetti vari. Per molti stava prendendo forma uno strumento di prepotenze e vessazioni contro i miti agricoltori che fino a quel momento erano vissuti sotto l'usbergo delle consuetudini quali il diritto di asportare la legna o di produrre la marmellata di corbezzoli. In realtà la lobby più attiva era quella dei cacciatori, utilizzati da molti in occasione delle elezioni come serbatoio di voti sicuri. Il risultato dell'ambaradan fu che molte manifestazioni di ambientalisti prevalentemente di Ancona imposero il consorzio del parco, con un perimetro e norme severe contro la caccia ma anche a favore della tutela e della valorizzazione di quell'area vasta. Ma contemporaneamente e fin da subito le forze contrarie e quelle incerte (ampia isola grigia, titubante e incompetente, e presente in quasi tutti i partiti) agì per comprimere la spesa incomprimibile, creando difficoltà di ogni genere. Nessuno oggi ricorda che chi si trovò a presiedere quel parco dovette avviare un vero e proprio contenzioso legale contro settori influenti dell'ente Regione che pretendevano di finanziare solo la spesa del parco per investimenti, lasciando scoperta la spesa ordinaria (affitti dei locali, stipendi al personale, ecc). Per avere il minimo indispensabile per sopravvivere fin dall'inizio si dovette lottare molto, anche in sedi legali. Vincemmo, ma quelli erano segnali inequivocabili di una incomprensione che, si pure a volte in percorsi carsici, ma altre volte a viso aperto, impedirono tutele e valorizzazioni adulte e complete, con manutenzioni serie e continue, e con la conquista di un ruolo delle aree protette marchigiane (che nel frattempo venivano istituite) che non fosse limitato al ruolo del boscaiolo o del giardiniere. L'intera Regione Marche divenne una rete che avrebbe potuto fare sistema. Nella tutela e nello sviluppo. La legge nazionale lo prevedeva, e l'iniziativa “Parco produce”, che organizzammo alla Fiera di Ancona dalla seconda metà degli anni novanta, per svariate edizioni, sempre molto ben frequentate, ne riproponeva gli assi portanti in decine e decine di convegni, frequentati da ministri, assessori e presidenti di parchi di tutta Italia. Facemmo la figuretta nostra. Entrammo in Federparchi, ne dirigemmo la rivista, fummo accolti in Fedenatur, l'associazione europea dei parchi migliori, con sede a Barcellona. Ciò nonostante i fondi cosiddetti incomprimibili furono compressi sempre più e sempre peggio, finché i parchi persero le ali e la stessa intenzione di volare. Certo, si può sempre ricominciare. Ma va capito bene che le aree protette marchigiane non corrono oggi il rischio di essere chiuse, poiché sono state strangolate da tempo e non sono mai state inserite in seri progetti di area vasta di crescita sostenibile. Oggi, chi riuscisse a guardare lontano, oltre la nebbia del grigio presente, potrebbe immaginare la macro regione adriatico ionica come luogo di un sostanziale rilancio. Si potrebbero collegare tutti i parchi della macroregione in iniziative e progetti e politiche di accoglienza simili. Verso un comune sentire che dia spazio non solo a nuove e più produttive sostenibilità, ma anche al puro e semplice dilettevole, seguendo il pensiero di Leopardi “... avviene che il dilettevole mi pare utile sopra tutti gli utili”. Perché i parchi sono soprattutto bellezza e natura incontaminata. Se poi dalla tutela ben fatta e ottimamente finanziata si otterrà anche un forte vantaggio economico, meglio. Ma nessuno immagina di far pagare il biglietto per frequentare i giardini pubblici o per usarne i giochi e le attrezzature. Mentre dalle aree protette, chissà perché, si pretende una resa economica che ne assicuri addirittura l'auto sostentamento. E' evidente che non ci siamo, e che se non c'è una adeguata cultura per gestirli è meglio sopprimere gli organi di gestione e smantellarne i confini. 

Mariano Guzzini