30 Dicembre 2015

Effetto clima su animali e piante, report WWF

E’ lo stambecco, assieme ad altre specie alpine come la pernice bianca e la stella alpina, il simbolo della biodiversità italiana minacciata dal clima che cambia: con l’innalzamento delle temperature a causa dei cambiamenti climatici, la stagione vegetativa nelle aree montane è sempre più anticipata, e i pascoli d’alta quota non offrono ai capretti il foraggio adatto alla loro nutrizione nel momento critico dello svezzamento. 

La loro sopravvivenza è scesa dal 50% negli anni ’80 al 25% di oggi. Ne muoiono cioè 7-8 piccoli ogni dieci che ne nascono. Non solo: lo scenario dell’aumento delle temperature potrebbe consegnarci un pianeta invaso da specie adattabili e invasive, dalle zanzare portatrici di patologie anche gravi come la dengue, la febbre gialla e la malaria, a parassiti come il punteruolo rosso, responsabile della moria delle palme in Italia, alle meduse, che potrebbero proliferare ulteriormente nel Mediterraneo. Questi e altri dati sono contenuti nel dossier “Biodiversità e cambiamenti climatici”, elaborato dal WWF in vista della COP21 a Parigi, alla quale l’associazione chiede di portare a casa un nuovo accordo globale sul clima efficace ed equo. Diverse specie di animali e piante, per fuggire al riscaldamento del pianeta stanno spostando i loro areali di distribuzione verso maggiori latitudini o altitudini. Succede per l’84% delle specie che vivono in ambienti aridi, come testimoniano alcuni studi.  Ma per le specie d’alta quota non esistono vie di fuga. La riduzione dei ghiacciai e dei periodi di innevamento su tutto il pianeta sta minacciando molte specie alpine sulle montagne di tutto il mondo. In queste aree di criosfera vivono 67 mammiferi terrestri, 35 marini e 21.000 di altre specie di animali, piante e funghi. Dal leopardo delle nevi in Tibet al pinguino di Adelia in Antartide, dall’ orso polare in Artico, all’arvicola delle nevi, dal krill antartico, fondamentale primo anello della catena alimentare, ai trichechi, che vedono assottigliarsi sempre più il ghiaccio marino artico, a specie vegetali simbolo delle montagna come la stella alpina e l’abete bianco, simbolo natalizio. Emblematico il caso delle balene beluga, conosciutissime dal grande pubblico per il film “Palla di neve”: l’aumento delle temperature dell’Oceano Artico sta facilitando l’ingresso delle orche nelle acque frequentate dai beluga, esponendo questo indifeso mammifero marino agli attacchi del predatore. “Il WWF sta seguendo gli orsi polari con i radio collari per studiarne comportamento e impostare su basi scientifiche le azioni di conservazione – ha detto Isabella Pratesi, direttore del Programma di Conservazione del WWF Italia - Su 9 orsi polari, alcuni dei quali costretti a nuotare con i loro piccoli per grandi distanze, il 45% dei cuccioli che abbiamo seguito non ce l’ha fatta. Un dato drammatico e allarmante. E’ per loro, per tutti gli orsi polari che per colpa nostra non ce la faranno, che il WWF sta mettendo tutte le sue forse ed energie per fermare il cambiamento climatico, per arrestare la devastante fusione dei ghiacci polari e proteggere l’habitat dell’orso polare”. A qualcuno piace caldo: le specie adattabili. Avvantaggiati da climi più caldi e dalla riduzione dei climi estremi invernali che ne contenevano la diffusione sono le zanzare, portatrici di malattie che saranno in aumento come la malaria, le meduse, le cui popolazioni sono in aumento nel Mediterraneo, parassiti degli alberi come alcuni coleotteri tra cui Dendroctonus ponderosae che si alimenta di pini nel Nord America o il punteruolo rosso Rhynchophorus ferrugineus (responsabile della moria di palme in Italia), o altri insetti come la vespa cinese Dryocosmus kuriphilus responsabile della malattia di molti castagni. La formica di fuoco, Solenopsis invicta specie aliena in molti habitat, è avvantaggiata dal riscaldamento del pianeta e ha notevoli impatti sulla biodiversità endemica, mentre è prevedibile una diffusione delle zecche, vettori di patologie e agenti patogeni. Dopo la criosfera c’è un altro ecosistema ad alto rischio: gli oceani. Il cambiamento climatico è il principale responsabile della perdita del 50% del coralli delle barriere coralline. Uno degli effetti più drammatici del cambiamento climatico sui coralli è il bleaching , lo sbiancamento dei coralli che porta alla morte degli invertebrati marini. Non solo: l’aumento di anidride carbonica degli oceani insieme all’aumento delle temperature delle acque producono una diminuzione del PH dei mari, portando quindi ad una vera e propria acidificazione di questi ecosistemi cruciali per la vita umana (l’alimentazione di quasi tre miliardi di persone dipende strettamente dalla pesca). Dall’inizio dell’era industriale, l’acidità degli oceani è aumentata del 26% con conseguenze riscontrabili su molti organismi, in particolare su quelli con uno scheletro o un guscio calcareo come i coralli, molluschi e altri invertebrati. All’attuale livello di riscaldamento e acidificazione delle acque rischiamo di perdere le barriere coralline entro il 2050. Le barriere coralline sono, assieme alle foreste tropicali, l’ambiente più ricco di biodiversità del pianeta, ma anche cruciali per la vita e il sostentamento e il lavoro di migliaia di persone. Valore Natura.  La perdita di biodiversità non è solo un drammatico impoverimento di specie animali e vegetali: gli ecosistemi, se in salute, ci forniscono cibo, medicine e altre risorse vitali: nel 2011 il valore non di mercato dei servizi ecosistemici planetari è stato stimato in 125.000 miliardi di dollari. Il TEEB stima per difetto che la perdita globale di biodiversità e dei servizi ecosistemici abbia un valore, ogni anno, di oltre 50 miliardi di euro. Cambiamenti nella biodiversità portano inevitabilmente ad una riduzione degli ecosistemi nel fornirci cibo, acqua potabile, sicurezza, medicine e altre importanti risorse. Cicli vitali compromessi. I cambiamenti climatici rischiano di compromettere cicli naturali antichissimi, come le fioriture e le migrazioni. Esempio: gli uccelli migratori europei arrivano nei territori riproduttivi mediamente un giorno prima ogni 3 anni dagli ultimi 40 anni, e quelli che svernano a nord del Sahara hanno ritardato il passo di 3 - 4 giorni, mentre in Africa orientale (regione del Serengeti-Mara) la “biblica” migrazione di circa un milione e mezzo di erbivori governata dal ciclo delle piogge – che, spostandosi, creano nuovi pascoli - è compromessa perché il clima negli ultimi anni è diventato sempre più caldo, la stagione secca dura di più, le piogge sono in ritardo e sono sempre più frequenti eventi meteorologici estremi che provocano dilavamento ed erosione del suolo. “Alla COP21 vogliamo dare voce anche alla biodiversità  a rischio –dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia- Le attività umane, che utilizzano i combustibili fossili e ‘mangiano’ il suolo e le foreste, stanno avendo un impatto senza precedenti sugli ecosistemi e sulle specie animali e vegetali, e rischiano di stravolgere il Pianeta come lo conosciamo. Pensare che la perdita di biodiversità non ci riguardi è assurdo, il nostro benessere dipende direttamente dal benessere della natura: per questo la COP21 non può permettersi di annacquare le decisioni e deve approvare un accordo realmente efficace nel limitare il riscaldamento globale, in altre parole deve decidere di tagliare drasticamente e rapidamente le emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane”.