Si è conclusa venerdì 11 ottobre la stagione di di scavo 2014 a Fosso Fontanaccia a Portonovo, che ha portato alla luce un tesoro archeologico di inestimabile valore culturale: la scoperta di un insediamento risalente all’età neolitica, grazie al rinvenimenti di alcuni forni, di reperti vari, anche umani e scarti di cibo.
Considerato il valore storico-culturale della scoperta, l’ Ente Parco del Conero ha organizzato con successo, un’ escursione gratuita alquanto partecipata, finalizzata a promuovere la conoscenza del sito archeologico. ‘I forni neolitici –spiega il consigliere Fabia Buglioni che ha organizzato la gita e accompagnato il gruppo- sono un rinvenimento eccezionale, unico in Italia, e si inseriscono nel già ricchissimo panorama storico-culturale del Parco del Conero. Un altro tassello che avvicina quest’ Are Protetta ad una caratterizzazione sempre più archeologica. Lo scopo del Parco è altresì quello di divulgare ogni aspetto che possa rendere tutti più consapevoli dell'eccellenza del territorio in cui si vive, atto a rappresentare un'attrattiva turistica più vasta e interessante. La collaborazione e la sinergia tra università, pubblico e privato è la strada giusta per valorizzare, promuovere e conservare il nostro patrimonio storico-culturale, ambientale ed agroalimentaree, questi scavi sono l'ennesimo ed importante risultato del felice incontro tra l' Università di Roma la Sapienza, la Soc. Coop. Terredel Conero in primis, Slow Food ed altri, con il Parco del Conero’. Il sito neolitico è stato identificato negli anni ’90 e dal 2011 la Sapienza Universitàdi Roma conduce scavi sistematici ed estensivi grazie alle archeologhe Cecilia Conati Barbaro ed Alessandra Manfredini. Ad oggi, in un’area di circa 200 mq, sono venuti alla luce una ventina di forni a cupola con base circolare, scavati lungo il pendio collinare nella formazione naturale, la cui forma richiama quella degli attuali forni da pane e da pizza, molto comuni nel Mediterraneo. E venerdì, per la prima volta, uno di questi forni è stato ricostruito ed acceso di fronte alla folla curiosa, per capire le dinamiche utilizzate dai nostri predecessori. I forni presentano diversi gradi di conservazione: quelli più a monte sono fortemente erosi e se ne individuano solo le basi, mentre quelli più a valle, protetti da una coltre di terreno di maggior spessore, sono quasi del tutto integri, con pareti e volta ancora visibili. Negli 2006, all’interno di due forni sono state rinvenute le sepolture di tre individui adulti, conservate solo parzialmente. In seguito, lo studio antropologico ha evidenziato il buono stato di salute e l’analisi del collagene delle ossa ha permesso di ricostruire un’alimentazione basata su un equilibrato apporto di proteine e carboidrati. A costruire i forni è stata una comunità di primi agricoltori, che coltivavano cereali e leguminose e allevavano animali domestici: infatti, in alcuni sono stati ritrovati semi di orzo carbonizzati e resti di pecora, maiale e bue. L’analisi delle temperature indica che non venivano superati i 500 gradi, suggerendone l’impiego per il trattamento e la cottura di alimenti, escludendo quella della ceramica.
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