Era un nascosto casolare disperso tra il verde, nella quiete di Valle Miano. Apparteneva al comune di Ancona e qui per alcuni anni sventolavano le bandiere del panda.
Proprio in quel contesto di periferia un gruppo di attivisti del WWF con la disponibilità di un giovane veterinario hanno dato vita ad un CRS – centro recupero selvatici - una struttura per aiutare animali feriti o comunque in difficoltà. Come per gli umani, anche per volatili e quadrupedi un “pronto intervento” assicura maggiori possibilità di successo nel superare un’infezione o le conseguenze di un colpo di fucile oppure fratture da incontri ravvicinati con automezzi o cavi elettrici. Insomma un ospedale a tutti gli effetti con l’ambulatorio per le medicazioni, la sala operatoria, il luogo per la riabilitazione e gli spazi per la lunga degenza: strutture funzionali ed efficienti, talvolta con qualche concessione all’estetica che lasciava trasparire soluzioni progettuali in economia ma sempre con massima cura al benessere degli sventurati fruitori. Incredibile quanti animali sono passati al centro. In un primo riepilogo dal luglio 1985 a fine 1989 sono stati registrati gli arrivi di oltre 350 uccelli, di cui 296 rapaci. Nonostante la protezione legale che ne vieta la caccia, i ricoveri per ferite d’arma da fuoco sono stati oltre il 60% ed il resto dovuto a traumi e fratture causate da urti (29%) oltre a detenzione abusiva, stress, avvelenamento e pullus. Fra tutte le specie di rapaci diurni giunte a Centro Recupero Selvatici – si legge in una relazione WWF Marche – il triste primato spetta alla poiana, seguita dal gheppio, lo sparviero, il falco pecchiaiolo, il falco di palude, il falco pellegrino. ..ma anche svassi, aironi, tuffetti, cormorani che pure dovrebbero vivere indisturbati dall’uomo. Tra i rapaci notturni – continua la nota – i ricoveri più frequenti spettano alla civetta seguita dal barbagianni, l’allocco, l’assiolo, il gufo comune e il gufo di palude essendo così rappresentati quasi tutti i rapaci notturni presenti nel nostro Paese. Per tutti le cure necessarie e il silenzio capaci di alimentare il sogno di poter ritornare in libertà, perché è la natura il posto dove ciascuno svolge il proprio ruolo e vive al meglio ciò che contraddistingue ciascuna specie. Il momento della liberazione costituiva allora un evento pubblico per vivere un momento speciale, coinvolgente ed educativo anche per far conoscere l’attività del centro e sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della fauna. E il Conero rappresentava il luogo ideale per questi eventi. “In seguito però ci accorgemmo – scrive il dott. Camilletti responsabile del centro – che non era il modo migliore per ridare la libertà ad animali che fino a pochi minuti prima erano degenti al centro, e che il lavoro per cui erano stati necessari mesi di riabilitazione al volo, poteva andar perduto in poco tempo. Inoltre l’animale prima traumatizzato dalle ferite riportate, poi dalla degenza in voliera, rischiava nuovi traumi da un ulteriore viaggio di trasferimento dal centro al punto scelto per la liberazione, dalla presenza di un pubblico sempre più numeroso e sempre meno contenibile. Abbiamo così deciso di rischiare un po’ di sensibilizzazione a favore dell’animale. Ora le reintroduzioni vengono effettuate dalla stessa sede del centro, semplicemente aprendo la voliera. In questo modo l’animale ha tutto il tempo che gli necessita per osservare l’ambiente che lo circonda e una volta sicuro potrà involarsi liberamente. La voliera rimarrà aperta per alcuni giorni dando la possibilità all’animale insicuro di un riparo e del cibo.” Ci sarebbero tante storie da raccontare su questi ospiti, talvolta davvero straordinari per quanto rappresentano la bellezza della natura accanto a noi, come il biancone o “aquila dei serpenti” giunta nel settembre 1988 sparata nei pressi di Senigallia e liberata dopo un ottimo recupero nel marzo successivo. Tuttavia nonostante tante premure, il lieto fine non sempre è assicurato; come nel caso del giovane esemplare di aquila reale sparato sul monte Catria nell’inverno 1986 e morto pochi giorni dopo il ricovero. Già da queste brevi note si comprende come l’ospedale della natura sia stato un punto di riferimento prezioso per la fauna della nostra regione. Una struttura sorretta certamente dal volontariato eppure bisognosa di aiuti economici per sostenere le spese per le attrezzature, i farmaci, il cibo e quanto necessario agli ospiti. L’entusiasmo per un impegno a favore della natura non è mancato mai! E purtroppo nemmeno il bisogno di una struttura capace di salvare la vita a tanti animali bisognosi di cure tempestive ed adeguate. Inutile però aggirarsi ancora tra il verde di valle Miano per cercare riscontri a questa storia perché nessuna bandiera del panda è rimasta ad indicare la meta: l’ospedale “speciale” non esiste più.
Gilberto Stacchiotti
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