Che c’entra il merluzzo con il capoluogo delle Marche? Basta riferirsi allo stoccafisso, sempre merluzzo è (Gadus morhua) seppure conservato per essiccazione (il baccalà è lo stesso pesce conservato per salagione), perché questo legame sia subito chiaro, essendo noto come ambasciatore della cucina anconetana.
E come a volte accade, dietro quel sapore così famoso c’è una ricetta e soprattutto una storia tutta da raccontare: protagonista il mare che unisce pesci, navigatori, comunità e città costiere! Si comincia con un naufragio. E’ quello di un mercante veneziano, Pietro Querini e i suoi 49 uomini di equipaggio, che dopo aver consegnato nelle Fiandre il loro carico di Malvasia proveniente da Creta, sulla rotta del ritorno giunti nel Golfo di Biscaglia, a causa di una burrasca, con l’imbarcazione in avaria furono sospinti verso il Nord, arenandosi in un arcipelago a nord del Circolo Polare Artico: le isole Lofoten. Era il 6 gennaio 1432. Qui i naufraghi trovarono ospitalità dalla popolazione locale, apprezzandone un alimento ad essi sconosciuto - lo stoccafisso - che poi portarono in patria. Nel 1932, cinquecento anni dopo, alle isole Lofoten venne eretto un monumento a ricordo del legame culturale, gastronomico e anche un po’ etnico, tra l’Italia e quelle isole lontane. Oggi l’Arcipelago norvegese è il più importante produttore di stoccafisso nel mondo e l’Italia il più grande importatore con circa il 90% dell’intera produzione. Tra i mercati principali di questo commercio c’è la città di Ancona, grazie ad un legame che affonda in una lunga tradizione come ben sintetizza il Corriere Adriatico del 27 novembre 2014. “Un tuffo nella storia. Nel 2003 è nata l’Accademia dello Stoccafisso all’Anconitana a promuovere i rapporti tra le città di Ancona e Vagan, il capoluogo dell’arcipelago norvegese, luogo principe di pesca del merluzzo che, essiccato all’aria, diventa stoccafisso. E’ stata in questa occasione che, visitando il museo del vaporetto postale di STokmarkness, vedendo l’inconfondibile Arco di Traiano, è stato scoperto che il cantiere navale dorico, alla fine degli anni ’40, aveva costruito quattro navi e che il governo norvegese, allora privo di valuta pregiata, l’aveva pagate anche con un’adeguata fornitura di stoccafisso. L’Accademia ha incaricato gli ingegneri Pasquale Frascione e Paolo Gissi, dell’associazione “Uomini delle navi” , di documentare questo particolare avvenimento.” Questo profondo legame dello stoccafisso con la città dorica non è solo storico o gastronomico, come ben documenta Bruno Bravetti nel volume “Stoccafissando storia d’amore anconitana”. “La nostra è una città nata sul mare e per il mare, gli anconitani hanno una storica perizia nella pesca, amano mangiare il pesce e lo cucinano benissimo. E’ proprio partendo da questa consapevolezza - .– spiega l’autore, giornalista e presidente dell’Accademia dello stoccafisso all’anconitana - che numerosi scrittori e giornalisti, scoprendo Ancona e il suo stocco, scrivono di paradosso gastronomico! Come è possibile, si chiedono, che gli anconitani che sono immersi al centro del generoso Adriatico, abbiano eletto a Re della propria tavola lo stoccafisso, un pesce pescato nel mare del grande Nord? E’ attorno a questo apparente paradosso che il testo scivola veloce tra vicende storiche, migrazioni di popoli, racconti di personaggi con un escamotage: il piatto della tradizione da fine conoscitivo diventa strumento narrativo, lo scenario, il palcoscenico sul quale c’è Ancona con i suoi colori ed i suoi sapori. E su questo palcoscenico svetta, appunto, il nostro piatto della tradizione che è armonia tra il pesce essiccato del mare del grande Nord e le persistenze alimentari dell’Adriatico. Un piatto che racconta la storia di più generazioni – spiega ancora Bravetti -, la pazienza, l’amore e la perizia delle donne e degli uomini che lo hanno sperimentato, affinato nei secoli fino a farlo essere quello che noi tutti amiamo! E’ uno dei segni e dei simboli della città, è un piatto unico e insuperabile, è insieme tradizione e modernità”. A parte qualche consiglio per cucinarlo, che poi sono i dettami posti dall’Accademia (sul cui sito c’è tutto il mondo dello stocco) affinchè i ristoratori che lo propongono possano fregiarsi della tipicità, il testo non contiene la ricetta esplicitamente elencata: il lettore dovrà dedurla dal contesto, dalle curiosità degli chef, dalle note storiche perché, a parte poche regole (le canne sul fondo del tegame, il Verdicchio per bagnarlo ed il mazzetto di erbe aromatiche completo e la lunga cottura) cucinarlo è un atto d’amore, all’anconitana.” Proprio così. Meglio gustarne l’autenticità nei locali tipici della città oppure approfittare dell’annuale appuntamento “il viale del gusto”, quando la spina verde della città ospita le migliori proposte per apprezzare questo norvegese ormai anconetano DOC. Scoprirne il sapore è la ricetta migliore e vale molto di più di qualsiasi descrizione!
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