Abbinare la prospettiva di divieti alla gestione di un parco – terrestre o marino, poco importa – scatena vivaci reazioni negative alla proposta; eppure che sia necessario regolamentare le attività umane per una civile convivenza nella società e per tutelare il patrimonio naturale non è davvero una scoperta recente.
Il bisogno di utilizzare i prodotti dell’ambiente senza distruggerne in prospettiva la disponibilità è una sfida cui l’uomo da sempre ha dovuto far fronte, ben prima che acquisisse le attuali conoscenze di ecologia e biodiversità. Così il divieto di raccogliere legna al Conero, per esempio, c’era nel Quattrocento - cioè sette secoli fa - mentre le norme per la tutela del patrimonio forestale e delle coltivazioni esistevano da prima ancora. Insomma, la questione ambientale non è una realtà dei tempi moderni. I diritti di fruire dei pascoli, delle acque e del legname hanno anzi contraddistinto momenti anche di grave conflittualità tra le comunità di Ancona e Sirolo. Ne fornisce una precisa descrizione A. Giannotti nel suo libro “Monte Conero: una storia dimenticata”. “Nel 1225 cessa definitivamente la dominazione dei Conti Cortesi e Sirolo entra far parte del Comune di Ancona. Non mancarono i contrasti tra le comunità di Sirolo e Ancona, come è documentato dal Canaletti, per l’utilizzazione delle risorse del monte Conero, soprattutto dei boschi”. Le liti e le composizioni che ne seguirono costituiscono una importantissima pagina della storia degli sui civici nella Marca Anconitana. In una convenzione tra Sirolo e Ancona del 2 novembre 1260 venne stabilito che gli abitanti di Sirolo potessero usare dei pascoli e delle selve. Ma nei secoli successivi , nel 1300 e nel 1400, la questione divampò a causa dei numerosi incidenti che si verificarono. Attorno alla metà del 1500 la questione ebbe una soluzione legale. Il “Magnifico Consiglio” di Ancona decise di diffidare i sirolesi che “divenuti insolenti” non ubbidivano alle restrizioni loro imposte di fare legname solo nei luoghi assegnati e per il loro esclusivo fabbisogno, ma le rivendevano ai forestieri e inoltre si erano impadroniti del monte Conero , danneggiando i boschi. Il 16 dicembre del 1550 venne nominata una delegazione di Ancona con il compito di sostenere le ragioni di Ancona e quelle dei monaci di S. Pietro e di S. Benedetto. Faceva parte della delegazione anche il grande giurista anconitano Benvenuto Stracca, fondatore del diritto della navigazione. Le liti però non cessarono, aggravate anche da una rivolta contadina che interessò Sirolo e altri comuni dei dintorni contro Ancona. Sedata la rivolta, la questione riprese e finalmente si giunse ad una transazione definitiva nel 1577, con la mediazione del vescovo di Ancona, Vincenzo De Lucchis. Alla Comunità di Sirolo fu riconosciuto il diritto di raccogliere ghiande, di pascolo, di far legna, limitando però il taglio della legna “verde” ai mesi di dicembre, gennaio e febbraio, mentre la raccolta della legna “secca” veniva concessa per tutti i periodi dell’anno, limitatamente al fabbisogno della Comunità- Veniva sancito il divieto di vendere legna agli estranei'. Riferimenti preziosi alle regole di convivenza con l’ambiente sono contenute nello Statuto Comunale di Ancona del 1566 che, ad esempio, proprio al diritto di far legna sul monte Conero dedica una specifica attenzione. “Si statuisce e si ordina che alcuna persona possa far uscire legna da ardere dal Comitato Anconetano sotto la pena di un ducati e che nessuno possa, né debba, tagliare alcuna legna in Monte Conero, né nelle sue foreste, neppure nelle foreste del fiume Esino sotto la pena di dieci ducati; i massari di Massignano e del Castro del Poggio e tutti glia altri che hanno foreste nel detto monte, possono validamente tagliare legna solo per uso proprio nel Monte Conero, e non per vendere, e se venissero trovati a tagliare legna nella foresta altrui, e detta legna venderla, ricadranno sotto la predetta pena; e che non posa alcuna barca, barchetta o naviglio, tanto di proprietà di cittadini Anconetani quanto di stranieri, portare alcuna quantità di legno del Monte Conero senza valida licenza del Consiglio, sotto la pena di dieci ducati e sia confiscata la barca o naviglio che sia. E che nessuno del Comitato o Distretto di Ancona possa né osi estrarre e vendere carbonella (lignanina) di alcuna sorta, sotto la pena di quindici ducati. (Statuto Comunale di Ancona 1566 – libro De Extraordinariis – Rubrica 51). Norme specifiche vengono pure indicate nella Rubrica 21 che tratta del divieto di pascolo con capre sul monte Conero e di caccia lungo il fiume Esino. E su Portonovo, già da secoli si è reso necessario definire regole severe per salvaguardarne le risorse naturali senza attendere l’invenzione di piani particolareggiati o paesistici. “Pene severe, fra cui il supplizio della corda, venivano inflitte a chi tagliasse alberi o pescasse o cacciasse nei laghi, come anche a chi fosse sorpreso a trar pietra dalle macerie del monastero. Soltanto la domenica si consentiva il pascolo, la caccia e la pesca. Il taglio dei boschi veniva permesso ogni dieci anni, consentendovi il pascolo soltanto nell’anno successivo al taglio. Tutte queste forme di tutela, saggiamente gestite da signorotti, ecclesiastici e contadini, ci mostrano come da sempre Portonovo abbia avuto bisogno di una manutenzione particolare da parte dell’uomo. E se per secoli questo rapporto si è mantenuto in equilibrio, con l’unità d’Italia incomincia per la baia il periodo più delicato in quanto con la vendita all’asta, conseguente alla legge sulla confisca dei beni ecclesiastici, vengono meno la gestione unitaria e le nome che ne avevano garantito la salvaguardia. Insomma nulla di nuovo sotto il sole del Conero: piani del parco, valutazioni d’incidenza o d’impatti ambientali, statuti, direttive europee, regolamenti e via elencando sono frutti di una sensibilità ambientale che traduce nel 21° secolo quanto seminato nel corso dei secoli. Ovviamente con conoscenze scientifiche d’avanguardia per far fronte alle crescenti minacce e ai diversi impatti dovuti all’aumento della popolazione, ad una fruizione ben più diffusa della natura e alle potenzialità distruttive di cui possiede l’uomo moderno. Garantire la biodiversità e la vitalità dei cicli biologici è una sfida di oggi per assicurare la sopravvivenza dell’uomo stesso.
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